Il dono rubato di Paola Conte - Presentazione di Paola Fornasier

Quando ho conosciuto Paola una quindicina di anni fa, ero referente a Castelfranco presso il Consultorio Familiare con il servizio ADVAR per l’elaborazione del lutto. Mi colpì la sua forza, la sua determinazione, il suo impegno perché altri drammi, come quello che lei aveva subito con la morte del figlio per incidente stradale, non colpissero ancora altre famiglie. Quello che le era accaduto sembrava darle una forza fuori del comune. Erano passati 4/5 anni dalla morte di Andrea e io, che di lutto mi occupavo, in lei vedevo una donna che era andata oltre il suo dolore.


Così quando Paola mi ha detto: ho scritto un libro su di me, su come ho trasformato la mia sofferenza in forza per non soccombervi, per vivere e non sopravvivere, ho atteso con trepidazione di poter stringere tra le mani questo libro.


Mi ha subito colpito la dimensione: è un piccolo libro.
A ben pensarci siamo abituati a vedere piccole le cose preziose! Sono piccoli i semi che hanno in sé un potere vitale, propulsivo, fecondo o le gemme che racchiudono in sé la promessa di una fioritura.
Anche l’immagine della copertina non è quella di un libro cupo che prospetta temi di morte ma di vita e leggendolo ne ho avuto conferma.


È un libro di vita, vita trasformata profondamente dal dolore indicibile della morte
di un figlio strappato alla quotidianità, una quotidianità definitivamente e
dolorosamente perduta. Eppure Paola non si lascia pervadere dai toni nostalgici, sì attraversa il dolore, lo prova tutto ma non ne resta invischiata, va oltre, si apre alla speranza, alla solidarietà, al desiderio di bene perché il bene ci sia ancora
nonostante, anzi attraverso, quanto le è accaduto.

Paola ripercorre le tappe con
struggente delicatezza. Tutto iniziò quel giorno di settembre, scrive:
Era di settembre, quella sera.
No lui no, E’ impossibile…Sì proprio lui


Non fa sconti al suo dolore mentre si racconta, lo attraversa e lo accoglie come cifra inevitabile ma non cede ad esso, non diventa il suo dolore, non gliela dà vinta.
Sceglie di non dargliela vinta, per non portare altro male al male, in qualche modo lo addomestica quel dolore perché non la trascini nel baratro, perché il ricordo di
Andrea non si ammanti del suo dolore ma diventi propulsore di vita e di bene. Paola decide questo, lo fa con un atto di volontà lucido coraggioso.

Scrive a pag. 77:
Sarei potuta restare in fondo e farmi distruggere completamente […] ho deciso di
risalire […] dare senso a quanto è accaduto, ricominciare a vivere e trasformare il
dolore in qualcosa di positivo. Mi hai aiutato tu, la tua vitalità e la tua grande
energia, non andavano sprecate, le ho fatte mie, nostre, per poter vivere e non solo sopravvivere.


L’eredità morale di Andrea diventa la sua forza, continua a ricordarcelo fino alla fine nel suo libro: Faccio tesoro delle tue qualità e le faccio mie (pag.138).

L’energia di Andrea non doveva essere sprecata, così l’ho fatta mia per portare avanti un progetto per la prevenzione delle stragi stradali (pag. 193).


Questa forza le consente di andare oltre le sue paure e di diventare una voce forte coraggiosa per promuove la sicurezza nelle strade in termini preventivi.
Paola allora ha cominciato a metterci la faccia incontrando i ragazzi a scuola, le
istituzioni, gli amministratori locali, sostenendo e dando il suo contributo in
associazioni impegnate nella prevenzione degli incidenti nelle strade (Associazione familiari vittime sulla strada, Non correre accorri!), in progetti formativi per promuovere comportamenti responsabili come i laboratori Ragazzi in strada – Ri-mettiamoci la testa, perché quello che era accaduto a suo figlio Andrea era evitabile.
E se era evitabile, allora bisognava fare qualcosa perché altre famiglie non passassero l’inferno che lei aveva conosciuto.

Fiaccolate, marce tornei, flash mob, spettacoli, concerti, striscioni, sensibilizzazione in piazza e chi ne ha più ne metta, in questi 20 anni!

Non è stato facile, ha ricevuto porte in faccia, incontrato resistenze, ma non si è fermata.
Quando si torna in superficie - scrive Paola – si hanno occhi nuovi, ma se Andrea
come la stella polare ha avuto un ruolo per orientare la trasformazione e sostenere la metamorfosi della sofferenza, nondimeno l’abbraccio della comunità come balsamo ha avuto una sua parte nel lenire il dolore rendendo attraversabile quel tormento.

Ecco allora che le parole di amici, insegnanti, religiosi, che hanno saputo
farsi vicini, trovano un posto d’onore in questo libro come parte integrante della
storia di superamento: abbiamo deciso di essere “aperti”. Incontrare le persone ci fa bene, ci aiuta a portare questa immensa croce (pag.50).

Molti ci scrivono per portare la loro solidarietà e questo ci fa bene. (pag.55)


Paola ha incontrato molte mamme, papà, famiglie che come lei hanno vissuto la
lacerazione della morte di un figlio, non a caso sceglie di ospitare la poesia di Franco Berton Il lago del pianto. Questa poesia infatti ci conduce al cospetto del dolore di chi sopravvive alla morte di un figlio, ci mostra il pianto di una madre che non ce la fa “a lasciar andare” la figlia dopo la sua morte. L’autore con tanta delicatezza ha trovato un’immagine per portarci a contemplare questo doloroso vissuto e a intravedere però anche il necessario, faticoso percorso di superamento. 


Paola motiva la decisione di scrivere il suo libro riportando le parole di Kuki
Gallmann: le storie vere devono essere raccontate, tenerle per se stessi è come
tradirle. E lei non non ha tradito la “sua storia vera”, scrivendola, celebra la
possibilità di trasformare il dolore per la morte del figlio in speranza, responsabilità e amore per la vita.

E allora l’invito è di leggere questo libro, testimonianza pulsante di un percorso
coraggioso che ha saputo trasformare il dono rubato in un dono per tutti.

Paola FornasierPsicologa, psicoterapeuta, Responsabile del servizio per l’elaborazione del lutto ADVAR

 

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